martedì 9 novembre 2010

I SARTI DELLA (NON) INFORMAZIONE

In Russia dal 1992 a oggi risultano
"scomparsi" più di 70 giornalisti
L’ennesima violenza ai danni dei giornalisti russi mette nuovamente in risalto l’antidemocraticità di un paese dell’Est che si proclama, di fatto, una nazione “silenziosa”.
Due giorni fa Oleg Kashin, il giornalista del quotidiano “Kommersant”, è stato picchiato selvaggiamente da due uomini in una strada di Mosca, il tutto ripreso da una telecamera a circuito chiuso. L’hanno atteso davanti alla redazione del giornale e l’hanno colpito ripetutamente, lasciandolo a terra, e poi si sono semplicemente allontanati. Il video mostra le immagini crude di un agguato in piena regola che non lascia spazio ai commenti. Esso assume i contorni di una spedizione punitiva, un dovere morale che andava compiuto per impartire una lezione ad un dissidente, uno che non sa stare al suo posto.
Adesso il cronista è in coma farmacologico a causa delle ferite riportate, ma non è in pericolo di vita.
Il clamore scatenato dalla vicenda non ha fatto in tempo ad iniziare che nuovamente, oggi per l’esattezza, si registra un altro caso di aggressione ai danni di un altro cronista.
A due giorni del caso Kashin, anche il collega Anatoli Adamciuk, nella provincia moscovita, è stato picchiato nella notte a causa del suo mancato silenzio.
Anna Politkovskaja, Serghiei Protazanov, Dmitry Shvets, Ivan Safronov.. sono solo alcuni delle centinaia di giornalisti uccisi o inspiegabilmente scomparsi in Unione Sovietica dal ’92, un dato alquanto preoccupante.
Troppi numeri per far sì che le parole del presidente russo Medvedev possano ridare speranza all’informazione.

ha detto in televisione, cercando in qualche modo di stemperare gli animi dell’opinione pubblica, ma rimane l’atroce fatto che, ancora una volta, ai giornalisti è stato leso il diritto a informare sulle questione scottanti del Paese.
saranno puniti, a prescindere dal loro status, dalla loro posizione nella società o dai loro meriti

La professione del giornalista è già piuttosto difficile di per sé: informare senza esprimere i propri pareri e senza farsi coinvolgere dalle proprie impressioni, bensì affidandosi solo a fatti concreti e imparziali; le cose si complicano se ciò non ti viene reso possibile dalle alte sfere del governo, coloro che dovrebbero permetterti di svolgere il tuo lavoro senza remore alcuna.
E’ la legge del silenzio, quella che ridimensiona il tuo modo di vivere e di esprimere la tua vita con dignità.
Bocche cucite dalla violenza dei sarti di Putin, in cui un semplice ago ha la potenza di uno spillo voodo capace di renderti inoffensivo finchè si vuole.
Da ammirare il coraggio di quelli che non ci stanno e che rischiano la loro vita per dire alla gente come stanno realmente le cose. La passione del giornalismo si mescola alla forza della verità per continuare a resistere contro le minacce e le aggressioni che non si placano.
Alla stregua degli eroi della mafia, che lottano pur sapendo a cosa rischiano di andare incontro, i giornalisti russi non cessano il loro lavoro sperando così di poter cambiare le cose una volta per tutte.
Un ultimo appunto credo sia doveroso farlo ai giornalisti italiani che, pur non trovandosi nella medesima e gravissima situazione di quelli russi, giorno dopo giorno ricevono continue pressioni e richiami per ciò che scrivono, dicono o rivelano.
Anche loro sono pressati dai politici che malsopportano l’informazione, ed è per questo che, almeno per ora, come primo passo verso il silenzio, questi ultimi cercano di indirizzare le verità verso le notizie del nulla, le notizie piene di bolle d’aria. Quelle sciocche, per intenderci.
Per adesso in Italia occorre questo. Poi ci sarà tempo, chissà, per vedere anche dalle nostre parti degli abili sarti che con i loro fili e le loro stoffe cuciono la bocca alla realtà.

martedì 2 novembre 2010

..E I RICCHI SCIOPERARONO.

Massimo Oddo durante una conferenza
In queste ultime settimane si è sollevato un caso che ha indignato molte persone, sportivi e non. Sì, perché un caso che apparentemente sembrava interessare solamente il mondo calcistico, si è ingrossato fino a diventare una questione morale di tutta Italia: possono i calciatori indire uno sciopero per far valere i loro diritti, come se fossero dei semplici lavoratori?
L’associazione Italiana Calciatori, avente come portavoce il milanista Massimo Oddo, si è scontrata nelle ultime settimane con la Lega Calcio relativamente ad alcuni punti dei contratti nazionali che porterebbero degli “svantaggi” ai suddetti calciatori.
Fra i motivi principali di tale disaccordo c’è quello che riguarda la scelta del medico curante dei calciatori: fino a Giugno di quest’anno, la società permetteva ai suoi calciatori di scegliere con quale medico potersi curare, mentre secondo il nuovo contratto ciò non sarebbe più possibile. Il calciatore sarebbe “costretto” ad accettare le cure del medico scelto direttamente dalla propria società, oppure dovrebbe pagarsi le spese mediche nel caso in cui decidesse di andare da un altro dottore.
Un po’ come se i lavoratori non volessero fare le visite del lavoro presso l’Istituto assegnato, bensì presso uno studio privato, dal proprio medico di fiducia e che conoscono da anni. Chi lo pagherebbe quel costo ?
Ma lasciando perdere i motivi e le cause scatenanti di questa controversia che potrebbero, entrando nel particolare e considerando che sono – in fondo, in fondo – dei lavoratori anche loro, anche essere lecite, è ovvio che la gente comune s’indigni ugualmente per tali richieste.
Ciò che in primis appare sbagliato è il periodo in cui questa richiesta è stata avviata. Si sa che gli italiani sono così fortemente assuefatti dagli scandali calcistici che questo, in confronto, suona come una bazzecola. E’ risaputo inoltre che il calcio è per molti una vera e propria dipendenza e che mai e poi mai, per quanto sporco e illecito sia diventato questo sport, rinuncerebbero all’abbonamento Sky Calcio o a comprare il biglietto di una partita. Proprio per questo mi viene da considerare che forse, in tempi migliori, tale questione non avrebbe scalfito poi così tanto l’opinione pubblica. Articoli di giornale, interviste su interviste , servizi televisivi e poi.. la domenica tutti a vedere 22 calciatori in mutande che corrono dietro ad un pallone.
Ma stavolta no, stavolta anche gli appassionati storcono il naso, forse perché adesso sono tante le persone che a fine mese si cercando i soldi in tasca sperando di trovarci qualche banconota. Da una parte sono contento che questa richiesta sia stata avanzata in questo buio periodo economico. Senza di esso non ci sarebbero rumours così accesi e non si sarebbe dato così tanto adito al parere della gente comune, che lavora per mille euro e per costruirsi un futuro accettabile.
Il periodo di crisi che l’Italia, come gran parte dei paesi del mondo, sta affrontando, mette in cattiva luce anche gli idoli delle tifoserie. Le persone scendono in piazza per motivi seri: cassa integrazione, mancanza di lavoro, di sicurezza, di prospettive future.. e non in cerca di ritocchi e accordi che consentano condizioni troppo privilegiate.
Se proprio dev'essere condivisibile l’idea che i calciatori siano dei lavoratori.. va bene, si può accettare. Ma occorre che questi si considerino per quello che sono, ossia dei lavoratori extralusso, pagati per svolgere la loro passione, e che soprattutto abbassino gli occhi e mettano a confronto il loro lavoro con quello degli operai.
Molte persone potrebbero lucidamente fargli notare che nessuno li ha mai costretti a svolgere quel lavoro e che potrebbero benissimo smettere quando vogliono, ma ciò non sarebbe la via più giusta da affrontare. Il dialogo alla fine è sempre la via più giusta da seguire, e creare contrasti o mettere paletti non sarebbe la cosa migliore per nessuno.
Far capire ad una categoria così fortunata che non è il caso di sollevare un problema a livello nazionale è invece un passo importante verso la risoluzione della questione. Lo sciopero è un diritto, è l'atto estremo per porre all'attenzione di tutti un problema importante, ma questa volta sembra se ne sia eccessivamente abusato.